La storia europea degli ultimi 60 anni è stata connotata dalla terribile tragedia della seconda guerra mondiale e dallo sterminio nei lager. Una storia vissuta in prima persona anche da chi è nato dopo la guerra, perché troppo fortemente quella vicenda ha segnato tutti coloro che l’hanno vissuta, anche se non hanno subito direttamente la deportazione. Il dramma dei sopravvissuti, la testimonianza di chi ha visto ed è tornato dall’orrore e dall’inferno per raccontarcelo ha coinvolto anche chi non c’era. La letteratura, il cinema, il teatro, le mille forme della comunicazione e della narrazione hanno attinto alle stesse fonti della storia.
Con il passare del tempo, per ragioni anagrafiche, i testimoni cominciano a scomparire e corriamo il rischio che con essi scompaia anche la memoria di quei fatti, lasciati appunto allo studio della storia.
E invece la memoria è importante non solo perchè tiene vivo il ricordo di quei fatti. Ma, come ricorda David Bidussa, “la memoria è un atto che si compie tra vivi ed è volto […] alla costruzione di una coscienza pubblica, essa ha un valore pragmatico, serve per fare qualcosa”.
Coltivare la memoria di ciò che è stato non è allora solo il rituale dovuto ogni anno per celebrare il 27 gennaio. Questa data, ricorda sempre Bidussa, non è il giorno dei morti. La memoria ha un senso se coltivata al futuro, se ci consente, interrogandoci su ciò che è stato, di trovare il modo di prevenire, di sviluppare gli anticorpi sociali e culturali dello sterminio, del razzismo, dell’annientamento di popoli e culture. Osservando quanto sta succedendo nel nostro mondo e purtroppo anche in Italia, siamo in crisi di memoria e gli anticorpi democratici si stanno indebolendo. Ecco perché è importante che il 27 gennaio non sia una celebrazione rituale.
La FLC Cgil, tramite le Edizioni Conoscenza e l’Associazione Proteo Fare Sapere, continua, come da 9 anni a questa parte, da quando cioè è stata varata la legge 211/2000, a coltivare la memoria coniugandola al futuro.